XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18,21-30)
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».
Meditando questa pagina evangelica viene in mente l’insegnamento del Signore: “Il Signore perdona tutte le tue colpe, non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe”(Sal 102); “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12), diciamo nel Padre nostro. Il fondamento del nostro rapporto con l’altro è l’imitazione del rapporto che Dio ha con noi. Quanto il Signore fa con me è principio di quello che io faccio con il fratello. Sant’Agostino diceva: “Perdonati, perdoniamo”. A San Pietro sembrava già tanto quantificare nel “sette volte” la misura del perdono a chi sbaglia; per Gesù la misura del perdono è perdonare senza misura: questo è il comportamento di Dio. In un certo senso il perdono dato senza misura, ci rende divini. Nel rapporto tra fratelli nella fede non può esistere quindi la misura del chi sbaglia paga. Saremmo nella logica del mondo, che è quella della meritocrazia.
Quando non c’è il merito non vi può essere il dono.
Nella logica di Dio, ammesso che possiamo usare questo termine, veramente molto improprio e inappropriato, esiste solo l’amore e questo ha in sé sempre perdono.
Dio non pensa secondo noi, pensa da Dio e agisce da Dio e il suo relazionarsi con l’uomo è la misericordia, il dono, il perdono.
Dio opera con la sua giustizia, che è diversa dalla nostra, ammesso anche che la nostra sia vera giustizia.
San Paolo dice che la giustizia della legge umana non giova allo spirito dell’uomo assetato di verità, di perdono, di amore. “Ci ha resi degni di essere ministri di una nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide, lo spirito invece dà vita” (2 Cor 3,6).
La vita dello spirito di Dio è l’amore che perdona sempre.
Un amore che non perdona mai, non è amore. Se ci sentiamo figli di Dio, e la preghiera del “Padre nostro” ce lo ricorda, non possiamo non perdonare.
La paternità unica e universale di Dio si esprime proprio nel perdono che indica la nostra progettualità, difficile sì, rischiosa, apparentemente perdente, ma è quella che ci fa stare ai piedi della croce di Cristo, non come spettatori, ma fratelli con Lui che lo condividono nel dono del perdono.
Nella espressione del Signore: “Padre, perdona loro…” c’è il mistero di cui siamo fatti partecipi: la misericordia, ricevuta per essere donata.
Non è facile perdonare, è vero, ma per farlo non dobbiamo adottare strategie di convenienza, strategie diplomatiche; dobbiamo stare presso la croce di Cristo: cattedra universale di perdono, capace di creare novità impensate: “Oggi sarai con me in Paradiso” che significa comunione festosa. “C’è più gioia in cielo per un solo peccatore che si ravvede che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,10). Sulla croce tutto è dono, tutto è perdono, per questo Cristo è il re che regna da quel legno. E’ la regalità non del potere, ma del servizio materno-materno, che è l’amore!
Il discepolo di Cristo impara la vita relazionale proprio stando ai piedi della croce, come Maria e Giovanni.
Questa croce, che è per tanti più un monile, un oggetto di abbellimento, o di ostentazione di una certa appartenenza, è invece il segreto della riuscita della vita.
Il Vangelo ci dice che Maria e Giovanni “stavano” presso la croce del Signore.
Questo verbo non indica un temporaneo esserci, ma un progetto di vita di amore e quando c’è questo progetto lo stare significa condividere Cristo, accoglierlo nella quotidianità, che spesso è croce relazionale.
E lì che siamo chiamati a ri-dire “Padre, perdona loro”. Questo è il motivo per cui San Paolo insegna: “Perdonatevi scambievolmente! Come il Signore vi ha perdonati così fate anche voi” (Col 3,13). Non può esserci, di conseguenza, la legge del taglione nella nostra vita. “Occhio per occhio, dente per dente”.
Il criterio non è quello che l’altro ha fatto a te, tu fallo a lui, ma quello di Dio e cioè quello che Dio ha fatto e fa a te, tu fallo all’altro.
In questa progettualità il perdono cristiano va al di là del principio della non violenza o del non risentimento.
Dobbiamo allenarci costantemente in questa difficile arte, che è propriamente divina, e non tanto per esigere che lo facciano gli altri, quanto per puro dono.
Nel perdono si trasmette il calore del cuore di Dio. E chi non ha bisogno di questo?
La nostra vita può essere sintetizzata così: servizio al perdono!
Tutti ne gioverebbero: le famiglie, gli ambienti di lavoro, della cultura, della politica, dello sport, dello spettacolo, eccetera.
Una società sarà nuova se il perdono ne è il respiro, e così la famiglia, la Chiesa.
La potenza del perdono scardina tutte le false sicurezze, ci mette nudi davanti al Padre per implorare per noi e per tutti sua misericordia.
Non si riesce a farlo? Preghiamo il Signore perché ci dia la forza, la luce, il coraggio. Diamo il perdono e facciamoci perdonare, allora la luce di Dio riempirà il nostro cuore, la nostra casa, il nostro ufficio, il nostro posto di lavoro.
Non resistiamo al perdono consapevoli che Dio potrebbe offrire la luce, la grazia, la pace, la vita a qualcuno proprio grazie al nostro perdono.
Il perdono è la vittoria, non della strategia, ma dell’amore.
Accettiamo di essere perdonati da Dio e vivremo nella pace; saremo costruttori di pace e di speranza per un mondo migliore, per famiglie migliori, per chiese migliori.
Non uccidiamo in noi l’amore di Dio Padre, ma accogliamolo: la luce della misericordia costruirà donne e uomini nuovi, capaci di dire: Amen nella liturgia della Chiesa, Amen nella quotidianità che diventa pagina scritta dal dito di Dio.
“Il Signore è buono e grande nell’amore” ( Sal 102).
Don Pierino